Ursula von der Leyen “salva” al Parlamento Europeo (ma noi no): la sfiducia è solo rinviata

Il 10 luglio 2025 il Parlamento Europeo ha respinto una mozione di censura contro la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, presentata dall’eurodeputato Gheorghe Piperea del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR). Sebbene l’esito fosse scontato per via delle rigide soglie necessarie (361 voti e due terzi dei voti espressi), il voto ha rappresentato un importante banco di prova per misurare il grado di tenuta del consenso attorno a una Commissione sempre più contestata per il suo operato autoritario, opaco e sbilanciato.
Il motivo scatenante? Il cosiddetto Pfizergate, ovvero la mancata trasparenza nei negoziati con Pfizer durante la pandemia, simbolo di una gestione verticistica del potere, distante dai cittadini e refrattaria al controllo democratico.
L’esito: numeri che parlano da soli-
Votanti: 553 su 720 europarlamentari (affluenza bassa)
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Favorevoli alla mozione: 175
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Contrari: 360
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Astenuti: 18➡️ La mozione non ha raggiunto né la maggioranza assoluta né i due terzi richiesti.
Ma il dato politico più rilevante è un altro: Ursula von der Leyen aveva ottenuto 401 voti per la rielezione nel 2024, oggi ne incassa solo 360 per respingere una mozione. Un chiaro segnale di erosione del consenso.
Fratture nei gruppi europei: sotto la superficie, il disagio-
PPE: compatto nel difendere la propria leader. Manfred Weber ha liquidato la mozione come “iniziativa di estremisti filo-Putin”.
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S&D: ufficialmente contrari, ma segnali di malumore interno; alcuni deputati si sono astenuti o hanno disertato il voto.
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Renew Europe: ha votato contro, ma con critiche pubbliche alla leadership centralizzata della presidente.
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Verdi/ALE: non hanno appoggiato la mozione, ma diversi membri non hanno partecipato per segnalare disagio.
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ECR: spaccati. I polacchi (PiS) e i rumeni hanno votato a favore. Fratelli d’Italia, pur essendo nel gruppo, ha scelto l’astensione tattica.
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Patrioti per l’Europa e Europa delle Nazioni Sovrane: favorevoli, in chiave critica verso il centralismo UE e il militarismo della Commissione.
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Sinistra Europea: divisa. M5S a favore, La France Insoumise contraria al voto “con la destra”.
Tra i 76 eurodeputati italiani, le scelte riflettono in pieno le contraddizioni della politica interna:
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Fratelli d’Italia (FdI): 24 seggi, non ha partecipato. La motivazione? Non danneggiare Raffaele Fitto, vicepresidente della Commissione, espressione del partito. Una neutralità che ha il sapore dell’ambiguità.
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Forza Italia (8 seggi): voto contrario, in piena fedeltà PPE.
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Partito Democratico (14 seggi): voto contrario, ma con divisioni interne; Tarquinio e altri avrebbero preferito l’astensione.
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Lega (8 seggi): voto favorevole, coerente con la linea euroscettica e anti-von der Leyen.
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M5S (8 seggi): voto favorevole, motivato dal rifiuto della gestione opaca dei contratti vaccinali.
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Verdi e Sinistra Italiana (4 seggi): assenza strategica, per non legittimare una mozione promossa da destra ma mantenendo le critiche.
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Altri: Dorfmann (PPE) e Gozi (Renew) hanno votato contro.
La Commissione von der Leyen esce formalmente salva, ma politicamente indebolita. I voti “contro” non equivalgono a un sostegno pieno: molti sono stati espressione di fedeltà di facciata o calcolo strategico. Le astensioni e le assenze non sono solo numeri: sono crepe che attraversano il Parlamento, rivelando un dissenso latente e crescente.
Le dichiarazioni pubbliche non lasciano dubbi. Anche tra i sostenitori ufficiali, le richieste di “un cambio di approccio” sono sempre più frequenti. Il modello verticistico della Commissione – che durante la pandemia ha gestito i contratti con Big Pharma in totale opacità, che oggi promuove un massiccio riarmo senza dibattito e impone un’agenda ideologica in materia ambientale e culturale – è sotto accusa.
Una gestione che svuota la democraziaIl vero nodo non è Pfizergate, ma la direzione politica imposta da Ursula von der Leyen: autoritaria, ideologica, impermeabile al dissenso. La presidente ha trasformato il ruolo della Commissione in un centro di comando che aggira gli stati membri e marginalizza il Parlamento. Il voto del 10 luglio non è un salvacondotto, ma un avvertimento. Chi oggi ha scelto la neutralità tattica, come Fratelli d’Italia, dovrà presto fare i conti con un’elettorato sempre meno disposto a tollerare i compromessi con chi si è arrogato il diritto di decidere tutto, per tutti.
Il fallimento della sfiducia non è una vittoria della democrazia europea, ma una conferma della sua crisi: l’UE resta prigioniera di una leadership che sopravvive grazie alla paura dell’alternativa, e non per il consenso reale che genera. E questo, alla lunga, è il vero pericolo per l’Europa.
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